Non ho saputo resistere alla tentazione di leggere in chiave filosofica la sua opera e di individuare - all'inizio quasi per gioco e poi in modo sempre più attento - le tematiche salienti racchiuse nelle fitte trame del suo racconto. Durante la lettura mi sono entusiasmata e positivamente sorpresa nel rintracciare alla fine della sua opera un concetto filosofico sorprendente, piuttosto originale e poco trattato, generalmente, del quale, a mio modesto avviso, ne va la cifra di tutto il suo libro, ovvero quello del cerchio amoroso. Con questo termine, da me malconiato e non troppo espressivo, intendo la forma più autentica ed illuminante dell'amore, quella che si istaura quando, in seguito a circostanze casuali, sono coinvolte più persone in una tensione illimitata e secondo un fine mirabilmente comune. Sempre secondo la mia rilettura, il cerchio d'amore, con un'origine ben definita, ma con un raggio estendibile ad infinitum, si colloca proprio all'acme delle vicende, cioè il coma della "nuova" Elisabetta: per l'occasione, infatti, ogni personaggio, evolvendo la propria identità e quasi passando in rassegna agli aspetti ordinari ed inconsistenti della vita quotidiana, si supera, ritrovandosi inconsapevolmente all'interno di un cerchio d'amore, rappresentato per l'appunto dall'immagine emblematica dei tanti personaggi chiusi in coro attorno al capezzale della povera sventurata. In questo passaggio, sublime, trasfigurato e trascendentale, si intravede proprio il residuo del mondo a portata di mano, lo scarto del mistero: l'amore come contenitore universale, onnilaterale, chiuso/aperto ( non è un' antitesi, ma è proprio la sproporzione misterica generata da questo sentimento) in un cerchio miracoloso e salvifico, che spoglia i singoli personaggi della propria identità particolare, conferendo loro una forza comune e trasmissibile in modo direttamente proporzionale. Dopotutto viene l'amore di Tutti |