Qualche giorno fa mi è capitato di leggere in un murales la scritta: “Se vivi per rimanere in silenzio, è meglio che muori”. Toccante vero??!! … … La prima cosa che ho pensato è stata che per la prima volta non hanno sporcato un muro senza motivo ma per scuoterci. E’ la prima cosa che mi è tornata in mente non appena mi sono distaccata dalla vicenda di questo romanzo che avevo fatto mia; perché mentre gli eventi facevano il loro corso devastando le vite di tutti e lasciando solo macerie, fumo e cenere alle loro spalle, io ero lì chi mi immedesimavo sentimentalmente con i protagonisti. Ero lì quando Elisabetta e Giulio, una coppia apparentemente serena agli occhi altrui, stavano mandando a rotoli il loro matrimonio, lì quando non riuscivano a comunicare e, forse, non abituati al dialogo, riversavano sull’altro tutte le colpe, le mancanze e i fallimenti della loro vita matrimoniale. Stavo lì, quando erano troppo presi a farsi sentire, a far sentire la loro opinione, non disposti ad accantonare neppure per un attimo il loro orgoglio, a voler camminare a testa alta come hanno fatto loro, ma con i paraocchi, per come li ho visti io. Ed ero sempre lì, quando mi sono accorta di aver torto (quando ho capito che mi sbagliavo, o meglio, mi ero fatta un’idea sbagliata) perché, colpo di scena, Elisabetta vuole tentare di salvare il suo matrimonio, pur dopo l’ennesima discussione. Non servono paroloni né lunghi discorsi filosofici, anzi sotto sembianze quasi infantili, proprio come un bambino che si trova davanti a situazioni per lui troppo grandi da affrontare, Giulio si vede costretto a chiedere aiuto, così con più totale umiltà chiede a Betta di insegnargli ad amare, perché lui non sa come si fa. Ecco ero proprio lì, con loro, quando ho visto poggiare a terra il primo mattone da Giulio, che ha deciso di costruire un luogo migliore dove vivere, di concedersi una vacanza, solo loro due (io li seguivo a debita distanza per non disturbare!), approfittando del fatto che Marco, il loro ragazzo, sarebbe partito per due settimane ed essi avrebbero avuto modo di ritrovare la loro intimità. E’ nel periodo precedente alla partenza che il dialogo prende il sopravvento. Vengono svelate verità del passato, insoddisfazioni, tenerezze date quasi sempre per scontate e mosse solo dall’abitudine. Vedo il secondo mattone (e ne sono contenta). Allargano le proprie visuali per sentirsi più vicini l’uno all’altra, per cercare di vedere se c’è tra di loro un punto in comune a cui aggrapparsi per poter ripartire. Si sforzano (lo percepisco). Non è facile (lo capisco). La speranza che questo viaggio possa servire per farli ritrovare li invade. I primi giorni trascorrono relativamente sereni, poi arriva lei. “L’uragano Noemi”. Amica dai tempi dell’università di Elisabetta, sembra essere sempre la stessa, l’eterna ragazza che travolge quanti li si avvicinano con la sua esuberanza, senza considerare il suo modo molto provocante di vestire che, forse proprio per questo, la fa vagare tra le braccia di un uomo all’altro, fino a giungere in quelle sbagliate di Giulio. O meglio, spinto solo da un desiderio che Elisabetta non è mai riuscita ad esaudire, quell’incontro, quel gioco erotico, quel pomeriggio di spensieratezza trascorso insieme sarebbero stati il loro piccolo segreto e tutto sarebbe tornato come prima. Ma ero lì quando Elisabetta è tornata a casa, sempre lì quando inizia a piovere, proprio dentro quella stanza, una pioggia fitta e assordante di insulti, di rimproveri, parolacce e rabbia, tanta rabbia. Elisabetta esce. Non torna la sera. Probabilmente non sarebbe più tornata , se, dopo sei mesi di ricerche, indagini e tanta forza di volontà, Giulio non l’avesse trovata, ma non per continuare ad insultarla e condannarla per aver abbandonato in balia della disperazione un marito, ma soprattutto un figlio. Giulio è cambiato. Tutti questi mesi lo hanno trasformato. Riesce, grazie all’aiuto del collega di Elisabetta, uno psicologo, ad analizzarsi, a capirsi ed ora è pronto. Ora vuole capire. Capire il perché di un gesto tale da una donna così razionale e matura. Cosa l’ha spinta a ciò. La verità è dura però da accettare, soprattutto quando persone, che credevamo di conoscere, hanno fatto cose che non ci saremmo mai immaginati. Elisabetta non è sola: ha “trovato” un uomo. Questo Giulio lo sopporta. Si è convertita, è diventata musulmana. Questo Giulio non lo capisce. Il ritrovarsi è duro e doloroso. Inizia tra loro un dialogo, IL DIALOGO. Iniziano a parlare come non mai. Non si riconoscono. L’ultima volta che si sono parlati, si sono detti parole dettate dalla rabbia e represse da un silenzio troppo lungo che al primo passo falso ha stravolto il loro fragile equilibrio. Ora no. Ne sono sorpresi, ma anche molto contenti. Affrontano discorsi molto impegnativi, toccano tematiche importanti, come il nuovo credo di Elisabetta. Non un insulto. Non una discussione. Non una nota fuori posto nel loro tono di voce. E continuavo ad essere lì, anche se non riuscivo a seguire bene la scena a causa dei miei occhi lucidi, quando Marco ha potuto riabbracciare la sua mamma. La situazione però, non è risolta, ci sono ancora mille problemi ad ostruire la strada della serenità. Il “nuovo uomo” di Elisabetta viene a conoscenza del fatto che lei ha un figlio; ci sono problemi di reinserimento nel mondo del lavoro a causa della sua nuova religione; le pratiche di separazione in corso; gli accordi per l’affidamento. Forse sono state tutte queste preoccupazioni e queste situazioni irrisolte a portare Elisabetta a compiere un altro viaggio, di cui l’autore non vuole dirci se si tratta di un viaggio di sola andata: lo lascia decidere a noi. E’ per questo che il romanzo sarà diverso da persona a persona, personalizzato: ognuno proseguirà in modo diverso per la conclusione, che potrà essere a lieto fine per gli emotivi come me (voglio credere che Betta riaprirà gli occhi … …) e con una lacrima di amarezza per i più razionali. Mi è ancora difficile capire come Giancarlo Trapanese sia riuscito a tessere un intreccio così ricco senza mai confondere i due “fili conduttori” che si susseguono parallelamente nel corso di tutto il racconto. TRA LE PARTICOLARITA’ DELL’OPERA CI SONO I DUE PUNTI DI VISTA, DI UN UOMO E DI UNA DONNA, CHE CONDIVIDONO GLI STESSI DRAMMI, MA LI PERCEPISCONO DIVERSAMENTE. Due psicologie messe a confronto che l’autore con estrema sensibilità è riuscito a presentarci. |