| Annamaria Barbato Ricci: un amore con gli occhi della morte | | Giancarlo Trapanese, col suo nuovo romanzo "Madre vendetta" dà voce al crescente femminicidio che inquina i rapporti fra uomo e donna.
Si può cominciare a leggere un libro dall’appendice? Io l’ho fatto, stavolta, col romanzo di Giancarlo Trapanese “Madre Vendetta – Storia di un perdono impossibile” (Vallecchi). Quell’appendice mi ha attratta come un magnete.
Un elenco: 133 nomi femminili in ordine temporale dal 1989 al 2011. Accanto, la notazione: marito, convivente, fidanzato, ex, amico eccetera. E’ la sconvolgente lista della strage delle innocenti. La mattanza delle donne. Il femminicidio. Le più familiari sono le ultime: Sara, Yara, Carmela. La nostra memoria breve sui fattacci, aiutata dai plastici di Bruno Vespa, non ha fatto ancora evaporare il ricordo dell’accanimento con cui la loro triste storia è stata dissezionata sui giornali, nelle chiacchiere oziose da ufficio o da salotto. Il romanzo del collega Trapanese, giornalista presso la RAI di Ancona, è simbolicamente dedicato a loro, al loro martirio. A quella feroce, cieca, incomprensibile rabbia con la quale il loro carnefice ha infierito per cancellarle dalla faccia della Terra.
In filigrana, le domande di sempre: perché questa reazione dissennata che pone fine col sangue ad un rapporto sentimentale, o amicale, o familiare? Oppure, in altri casi – come quello romanzato dall’Autore – perché il rifiuto assoluto di accettare che una relazione si sia esaurita, sia ormai una camicia di contenzione? Perché immolare non solo l’altrui vita, ma anche la propria in nome di una prevaricante violenza?
La vicenda raccontata dal giornalista è un puzzle delle tante storie ricavabili da quell’angosciante elenco. Prende le mosse da un’alba bolognese di dicembre, nella redazione RAI, nel giro di routine presso le Forze dell’Ordine che fa parte del quotidiano di ogni redattore TV. Chissà quante ne avrà vissute lo stesso Trapanese che riesce a tracciare la figura del protagonista giornalista del romanzo, Giorgio Catanese con un tale accento di verità – senza trasbordare la mitizzazione del giornalista detective, quasi eroico, di maniera; anzi, inserendoci i rovelli interiori in cui ognuno di noi può riconoscersi – che incoraggia ancora di più a leggere. Un romanzo dove tutto è verisimigliante, dunque, che percorre un itinerario doloroso di un amore finito in omicidio, fino ad un doppio esito mortale (anzi, più che doppio). Luce, diciannovenne radiosa come il suo nome, non è arrivata a vent’anni. L’ha spenta il suo Manuel, di qualche anno più grande, per ragioni non confessate. Gelosia, rifiuto della fine di un amore, non si sa.
Malgrado lui si protesti innocente, viene condannato a ventidue anni di carcere. Il buonismo delle leggi italiane lo fa liberare dopo appena tredici. Il dramma scoppia poco dopo. Uscito di prigione, lui torna a casa, nell’incantevole Bertinoro, nella palazzina accanto alla famiglia della ragazza, dove abitano ancora la madre ed il fratello di lei. La situazione è insostenibile, i Carabinieri riescono ad ottenere che Manuel e sua madre si trasferiscano.
Il trasloco non si realizza, perché, appena prima, Manuel, che ha cominciato a lavorare in un forno-pasticceria locale, malgrado in carcere si sia persino laureato, viene travolto da un pirata della strada, mentre si sta recando al lavoro ad un’ora antelucana. Il giovane è ricoverato in ospedale, ma non uscirà più dal coma. Al giornalista della sede RAI appare per istinto che non si tratta di un episodio da archiviare come incidente fortuito. Risale ai fatti che hanno segnato la giovane vita di Manuel; nel frattempo, si identifica l’auto killer: appartiene al fratello di Luce, ma, stranamente, sia la madre che l’uomo si autoaccusano dell’investimento. Intanto, Manuel vegeta in coma, fino a morirne. E Giorgio è preso da una sorta di magheria, vuole capire il nocciolo della questione, quei due che si autoaccusano, scagionandosi l’un l’altro, non lo convincono. S’instaura un rapporto molto umano con il maresciallo comandante della Stazione dei Carabinieri, poi col singolare, coltissimo parroco; nel frattempo, intreccia un dialogo molto umano e toccante con la madre di Luce, poi, col suo riluttante fratello. Infine, Giorgio riesce ad aprire una squarcio d’interlocuzione persino con la madre di Manuel.
Intorno a tutto ciò, che si consuma a cavallo fra il 16 dicembre e l’8 marzo (quant’è emblematica, quest’ultima data!), la sua vita professionale, ma, soprattutto, familiare ci danno quasi la consapevolezza che la sua penna scriva con l’inchiostro della verità autobiografica. Un romanzo coinvolgente, perché scritto con passione e per passione. Quella di far parlare e giungere alla coscienza civile la triste situazione delle donne sterminate da uomini confusi e violenti; la ricerca incessante di giustizia da parte dei familiari delle vittime. Un libro che mi resterà tatuato nel cuore. | |
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Torna al menù recensioni | Info critico Nome: Annamaria Cognome: Barbato Ricci Giornalista e scrittrice Sito Web: clicca qui
...note:Giornalista e scrittrice, laureata in Giurisprudenza ed avvocato, autrice del libro "Le Italiane" (Castelvecchi) che raccoglie le biografie di donne autorevoli di questi 150 anni di storia italiana, scritte da importanti scrittrici, giornaliste, firme eccellenti, i proventi del quale, con l’adesione delle coautrici, sono stati devoluti all’Associazione Telefono Rosa di Roma. Compra il libro: link acquista |
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