| Una nuova Resistenza | | Se ogni libro è portatore di un progetto, oltre che di un messaggio, in Da quanto tempo, di Giancarlo Trapanese, Neftasia 2008, il progetto è il libro stesso. La fiducia nella possibilità che la letteratura possa intervenire sul reale per modificarlo, e inoltre che essa consenta agli uomini e ai loro accadimenti di non morire, mantenendosi nella memoria dei lettori, è convinzione tanto radicata in don Rolando da volere che le storie di cui è stato testimone, non la propria, siano l’oggetto di un libro intitolato alla speranza, libro reso possibile dall’incontro con Giorgio Catanese, giornalista e scrittore “di provincia”. Viene in mente il pensiero di Vittorini espresso nel primo numero de “Il Politecnico”: la cultura ha il compito, non consolatorio, di incidere sulla realtà sociale: “Una cultura che le impedisca, che le scongiuri, che aiuti a eliminare lo sfruttamento e la schiavitù, e a vincere il bisogno ...”; viene il mente l’importanza della memoria il cui magistrale testimone è stato Primo Levi: non dimenticare è il solo presupposto per non commettere nuovamente i medesimi errori. Don Rolando consegna a Giorgio, e Giorgio la trasmette al mondo, la propria “eredità d’affetti”, le quattro storie che ci dovrebbero indurre alla vergogna per come l’uomo si serve, usa, sfrutta i propri simili più deboli, quelli la cui caratteristica comune è la fragilità della fanciullezza. Vi è la storia di Marian, il cui nome non è mai pronunciato nella prima parte del racconto, ambientata nelle fogne della Bucarest del dopo Ceausescu, una bambina senza il diritto all’infanzia che solo l’incontro casuale con l’associazione di don Rolando le restituisce; di Nicola e Matteo, ragazzini di Bergamo, vittime della violenza mediatica accanitasi contro la propria famiglia; di Odongo, bambino-soldato che gioca con la morte e che, sempre “giocando”, incontra la propria salvezza; di Nadejda, vittima tante volte, da Chernobyl ad Atene. Il processo di degradazione dei protagonisti dei racconti incontra il processo di miglioramento che si attua non eliminando ostacoli tangibili ma mediante l’intervento di uomini giusti che nel loro piccolo, per quanto possono, contrastano gli uomini ingiusti, restituendo la dignità a chi ne era stato privato. I racconti sono incastonati nel quinto, la cornice che parla di se stessa, del progetto libro, appunto; e del rapporto tra Giorgio e “il prete” “affabulatore”; una cornice dunque che più che richiamarsi all’uso che ne fa Boccaccio, ci rimanda a una impostazione più lontana nel tempo, quella dell’Odissea in cui è presente sia la storia di Ulisse (i protagonisti dei racconti) narrata da Omero (Giorgio), sia quella di Ulisse (Giorgio) che racconta di sé ai Feaci (i lettori). Da quanto tempo è dunque un libro da leggere, non solo come opera letteraria (di sicuro valore, vista la scrittura “onesta”, pulita e chiara, che si integra perfettamente nei punti di vista dei personaggi la cui storia è testimoniata), ma soprattutto come aiuto a maturare la responsabilità individuale alla quale fa appello. Dice don Rolando a Giorgio: “Questo libro ha trasferito anche in te un po’ di quel qualcosa che alimenta la voglia di lottare, di resistere all’ingiustizia, all’indifferenza.” (p. 119) | |
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Torna al menù recensioni | Info critico Nome: Norma Cognome: Stramucci Poetessa Sito Web: clicca qui Email: clicca qui
...note:Poetessa, pubblica nel 1995 L'oro unto, edizioni Tracce, con una nota di Massimo Raffaeli. Nel 2000 Erica, nella collana "La scrittura e la storia" delle Edizioni Piero Manni, diretta dal Prof. Romano Luperini, e con introduzione dello stesso Luperini. Nel 2003, nella stessa collana e con uno scritto di Mario Luzi pubblica Del celeste confine. Nel 2008 Il cielo leggero, Azimut, con una nota di Massimo Raffaeli; infine, nel 2009, in prosa, Lettera da una professoressa, Manni, con una introduzione di Maurizio Viroli. Compra il libro: link acquista |
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